Una linea ferroviaria che collegasse la costa atlantica all’oceano Pacifico, lunga più di 3.000 chilometri, con partenza da Omaha fino ad arrivare a Sacramento. Questo il progetto mastodontico voluto dal governo statunitense poco dopo la metà dell’Ottocento, che permise così ai passeggeri di ridurre un percorso che prima comportava circa sei mesi di viaggio a soli sei giorni, trasformando per sempre il destino della nazione. Sì, perché la ferrovia transcontinentale fece fiorire il commercio, con treni che spostavano merci per un valore di 50 milioni di dollari ogni anno, oltre a favorire la creazione di nuove città accanto ai binari.
Ma a quale costo? Questo progetto imponente ha distrutto ettari di foreste, oltre alle innumerevoli tribù di nativi americani costrette a lasciare la loro casa che abitavano da secoli. Ma il costo peggiore in termini di vite umane, si può esprimere nei circa 1.200 operai cinesi morti durante i sei anni di costruzione della ferrovia. La Central Pacific e la Union Pacific, le aziende incaricate di portare a termine l’impresa, si trovarono presto in difficoltà nel reperire manodopera utile alla costruzione della ferrovia, cercando così fuori dai confini nazionali gli operai. Condizioni di lavoro molto rischiose, estremamente dure e con uno stipendio risibile, portavano infatti gli statunitensi a rifiutare, la Union Pacific così assunse manodopera straniera: prevalentemente cinesi, ma anche irlandesi, polacchi e italiani.
Così dal 1864 soprattutto la Central Pacific iniziò ad assumere masse di lavoratori cinesi, alcuni in arrivo direttamente dal paese natio, altri già in California attratti dalla corsa all’oro tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta dell’Ottocento. Secondo una statistica i lavoratori di origine cinese impiegati dalla Central Pacific furono il 90% della manodopera utilizzata nell’impresa, aggirandosi intorno ai 20.000 uomini. Condizioni meteo sfavorevoli con tempeste, neve, oltre ai pericoli che correvano in svariate situazioni, ma non solo, i lavoratori della ferrovia transcontinentale erano impegnati sei giorni a settimana per dieci o undici ore. Nonostante questo sforzo, spesso, la manodopera cinese veniva pagata la metà rispetto ai colleghi bianchi, e non solo, secondo il Chinese Railroad Workers in North America Project (CRWNAP), la Central Pacific non si era preoccupata di verificare le loro identità, riferendosi agli operai indistintamente con il nominativo “John Chinamen”.
Terminata l’opera nel 1869, il governo fece il possibile per sradicare qualsiasi persona di origine cinese dal suolo nordamericano, attraverso leggi e non solo, utilizzando spesso la violenza nei loro confronti. Non tutti però furono costretti a fuggire, alcuni trovarono rifugio a Truckee, in California, importante snodo vicino alla ferrovia. Ma ben presto divenne chiaro che anche lì la popolazione cinese non era ben vista, si moltiplicarono gli episodi di violenza nei loro confronti, dagli incendi alle loro imprese commerciali, ai colpi d’arma da fuoco. Questo clima culminò nel Chinese Exclusion Act, che vietava a chiunque fosse di discendenza cinese di entrare negli Stati Uniti, legge in vigore fino al 1943, anno di abrogazione.
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